ESTERI
Agroalimentare: secondo il settimanale inglese The Economist, l’Italia “rivela un protezionismo innato”

2016-06-08T17:16:05+01:008 Giugno 2016 - 17:16|Categorie: Mercato|Tag: , , , , , , |

Londra (Uk) – Il settimanale inglese The Economist dedica un lungo articolo, nel numero in edicola, all’Italia e alle sue tradizioni agroalimentari, dal titolo: “For the love of pizza”(foto). Il pezzo prende le mosse dalla celebratissima pizza napoletana e dalla sua candidatura all’Unesco, partita dall’Italia, come ‘patrimonio immateriale dell’umanità’. “L’Italia”, scrive The Economist, “è lo stato più assiduo nel rivendicare le ‘indicazioni geografiche’ Ue, siano esse la rigorosa Denominazione di origine protetta (ad esempio, il Chianti Classico ), la perdente indicazione geografica protetta (ad esempio, i cantucci toscani) o la denominazione più debole, la Stg. Ma la proliferazione dissoluta e forzata delle Ig sa di produttori che cercano di sfruttare i consumatori. L’Italia rivela un protezionismo innato: invece di competere sui mercati globali, i produttori vogliono tutelare il patrimonio”. Nell’articolo si parla anche delle trattative sugli accordi commerciali internazionali, che sarebbero complicate da queste richieste di tutela. Vengono poi citati alcuni casi nei quali, nonostante l’orgogliosa rivendicazione italiana del prodotto, sono altri paesi ad averlo trasformato in un vero business, come nel caso del caffè, oggi nelle mani di Starbucks e della svizzera Nespresso, per il consumo domestico. Il giornalista parla anche di una azienda italiana, il Gruppo Brazzale. Spiegando che “le denominazioni limitano le economie di scala, la produttività e l’innovazione. Ad esempio Roberto Brazzale, la cui famiglia da generazioni produce grana secondo lo stile del parmigiano, ha spostato parte del suo lavoro nella Repubblica Ceca dove, egli sostiene, il latte è superiore e i costi sono più bassi”. L’articolo si conclude affermando che “Il genio d’Italia risiede nella sua inventiva e capacità di adattamento, non in una terra santa e non in una tradizione idealizzata e canonizzata da parte dello Stato. Questa visione porta alla paralisi e alla fossilizzazione culturale”.

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