Tritapalle. Sulla Rai campagna vegan-vegetariana firmata Innocenzi-Giannini

2016-11-25T10:59:39+02:0025 Novembre 2016 - 09:11|Categorie: Carni, Salumi|Tag: , , , , |

Il programma Indovina chi viene a cena, in onda il lunedì sera su Rai 3, è un esempio eclatante di come il pensiero unico vegan-vegetariano venga posto a modello. Affidato a Sabrina Giannini, una delle storiche inviate di Report, nella prima puntata ha demolito la filiera del latte. Usando argomenti a dir poco discutibili, come gli ottimi risultati di una squadra di calcio inglese dovuti al bando alle proteine animali per i suoi atleti. “Grazie all’alimentazione vegetariana”, sottolinea compiaciuta Giannini. Poi va in scena l’attacco al “mito del latte”. Un mito “duro a morire”, sempre secondo la conduttrice. “L’obiettivo è spingere il consumo di latte per aiutare gli allevatori che non ricevono più le famose quote latte, i contributi europei che poi erano sempre soldi nostri”. Peccato che le quote latte non siano contributi dati agli allevatori. E sono durate oltre trent’anni: abbastanza per capire di cosa si tratti. Tutto fila via tra notizie che non lo sono e una spasmodica ricerca dello scandalo, del colpevole, del profittatore, di chi ci guadagna. Puntando il dito. Affastellando parole e immagini in una narrazione a senso unico. Senza tenere conto di altri punti di vista. Magari andrebbero criticati, per carità. Però per criticare bisogna ascoltare. E questa non sembra una delle priorità della Giannini. E nemmeno di un’altra vetero-vegana, Giulia Innocenzi. Con il suo Tritacarne, fresco di stampa per Rizzoli e già best seller, fa a pezzi il mondo degli allevamenti intensivi vantandosi di incursioni notturne nelle stalle. Sul tema è quasi pronto un programma che andrà in onda da gennaio, sempre sulla Rai e sempre firmato da Innocenzi.

E intanto che si fa? Non si può certo invocare la censura. Si farebbe il gioco delle vemen (neologismo di vegan+femen) che a quel punto passerebbero per vittime. Allora in attesa che cambi qualcosa a viale Mazzini proviamo a fare quel servizio pubblico che non c’è. Dando spazio a voci ignorate dai media di stato. Perché le posizioni controcorrente ci sono. E a volte non sono nascoste in qualche giornale di nicchia, come si potrebbe pensare. Vanity Fair, per esempio, nel numero del 2 novembre racconta la storia di Lierre Keith, classe 1964, vegana per quasi vent’anni. Ora però si è resa della potenza del mito vegetariano e dei suoi molti malintesi. Parla di “alimentazione estrema” e dei danni che ha subìto, proprio a causa di una dieta così rigida. “Ho aperto gli occhi”, racconta. “Ho capito che l’agricoltura, lungi dall’essere la soluzione, è l’attività più distruttiva che gli esseri umani abbiano imposto al pianeta e comporta la distruzione di interi ecosistemi”. Nel suo pamphlet Il mito vegetariano (ed. Sonzogno) scardina uno per uno i miti del vegetarianesimo per tornare a un modo di produrre normale e ad un’alimentazione equilibrata. A una dieta bilanciata, senza togliere niente. Controllando e documentandosi più possibile. Banalità che hanno smesso di esserlo, ai tempi del pensiero unico.

Degli eccessi allarmistici se n’è accorto il presidente dei giovani di Confagricoltura, Raffaele Maiorano. Spiega in una lettera aperta del 9 novembre: “Partire da realtà – per fortuna pochissime – che non praticano il benessere animale e allargare il perimetro ad un intero settore è cattiva informazione. Per non parlare poi dei requisiti di scientificità e competenza di chi interviene o è chiamato ad intervenire nell’ambito di dibattiti così delicati, che richiedono conoscenze diffuse ed approfondite. […] Ho recentemente segnalato ironicamente ad una giornalista l’altra campana, ovvero quanto sostenuto dal professore australiano Mike Archer, che ha dimostrato come la produzione di molti vegetali consumati uccida un numero di animali (tra lepri, conigli topi e insetti) 25 volte superiore a quella della carne, generando anche maggiori danni ambientali. Certo c’è animale ed animale… Andrebbe forse fatta una classifica di chi va eliminato e chi no?”. E conclude: “Vorrei che ritornassimo con i piedi per terra e pensassimo anche al benessere umano, che è e resta prioritario”. Lo vorremmo anche noi. E vorremmo che si potesse discutere di queste cose senza essere zittiti da chi pretende di incarnare il progresso. Di intolleranza e superiorità morale ne abbiamo avuta anche troppa.

 

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