L’importanza di chiamarsi Oscar (Farinetti)

2023-07-03T09:33:00+02:007 Ottobre 2022 - 12:05|Categorie: Editoriali del direttore|

Oscar Farinetti lo conosco da molti anni. Ha la mia stessa età, 68 anni, e un percorso imprenditoriale molto interessante. Nasce ad Alba, nelle Langhe, e dalla sua terra di contadini prende quelle doti di tenacia, coraggio e furbizia che gli hanno permesso di aprire nuove strade con orizzonti indefiniti. Dopo il liceo classico, frequenta la facoltà di Economia di Torino ma la lascia dopo pochi esami. Pensa in grande. Così mette il turbo al negozio di elettrodomestici Unieuro, fondato dal padre nel 1967. E lo trasforma in una catena nazionale per la vendita di prodotti di elettronica di consumo.

Sono gli anni d’oro del settore. Tv color, videoregistratori, prodotti Hi-fi ma anche lavatrici, frigoriferi e altro ancora sono un must per gli italiani. Farinetti cavalca l’onda. Non solo, s’inventa uno spot televisivo con il poeta Tonino Guerra: “Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita”, che diventa un tormentone ricordato da tutti.

Fino al 2003, quando intuisce che il vento sta cambiando. Vende tutto alla catena britannica Dixons Retail. Ne ricava 528 milioni di euro. Gli inglesi pensano di aver fatto un affare e invece Unieuro si rivela un bel ‘pacco’, tanto che dopo alcuni anni sono costretti a svenderlo. Farinetti per un anno si ferma, studia e compra una serie di piccole aziende dell’alimentare. Ha in mente un progetto nuovo: si chiama Eataly, ristorante e negozio insieme dove mangiare, bere e comprare l’eccellenza agroalimentare del made in Italy. Il primo punto vendita nasce a Torino nel 2007. E’ l’inizio di un’avventura imprenditoriale che lo porterà ad aprire Eataly in alcune delle più importanti città italiane. Per poi allargare l’orizzonte all’estero con una particolare attenzione agli Stati Uniti.

Nel novembre del 2017, complice un rapporto consolidato con Virginio Merola, sindaco di Bologna, che gli offre un’area dismessa da tempo, nasce Fico Eataly World. Nelle intenzioni dei promotori – oltre a Farinetti anche Coop Alleanza – c’è l’idea di costruire un polo di attrazione dove mostrare il meglio dell’agroalimentare italiano. Ristoranti di vario genere e tipo, un grande negozio, laboratori. La previsione è di quattro milioni di visitatori l’anno puntando soprattutto su turisti e locali.

Ma è un flop colossale. Bologna lo snobba: perché andare a mangiare in un posto dove il rapporto qualità/prezzo è molto basso, distante dal centro città, a fronte di un’offerta enogastronomica della città straordinaria? Con un primo anno di fatturato “in linea con il business plan” (50 milioni di euro con 2,8 milioni di presenze), la creatura di Oscar Farinetti comincia a perdere quota. “Nei primi anni Fico ha cumulato perdite per una dozzina di milioni”, ci spiegava l’Ad, Stefano Cigarini, arrivato per risollevare le sorti del parco, “di fatto ripianati dai soci. Nel 2022 perderemo circa 3 milioni. Il 2023 sarà un anno in cui puntiamo a crescere, avvicinandoci a Ebitda 0. E nel 2024 gli utili”. Ma la realtà è diversa: come testimoniano le numerose visite pubblicate sui nostri giornali (l’ultima il 9 settembre, vedi articolo a pagina 30 di Grocery&Consumi), Fico continua nella sua corsa verso il baratro.

Anche Eataly non sta molto bene. La società ha chiuso il 2021 con una perdita netta di 22 milioni di euro, che salgono a 31 milioni a livello consolidato, a fronte di 464 milioni di ricavi a livello di gruppo. L’indebitamento del gruppo ha superato i 200 milioni, di cui 105 milioni verso la Sace. Ecco allora arrivare, poche settimane fa, il cavaliere bianco, ovvero Investindustrial. La famiglia Farinetti fa un passo indietro e scende dal 58,1% al 22% del capitale, per fare entrare, con il 52%, la società di investimenti di Andrea Bonomi. “Portiamo capitali, risorse umane e capacità logistiche, per fare sistema quando entriamo con le nostre aziende in un mercato, siano gli Stati Uniti o la Cina, dove siamo già presenti con tanti nostri marchi”, precisa al Corriere della Sera Andrea Bonomi, 57 anni. “Il nanismo delle aziende italiane viene superato da un gruppo come il nostro con 1,6 miliardi di ebitda”. Sarà, gli facciamo i nostri migliori auguri.

Nel frattempo Farinetti si è buttato in una nuova avventura, il Green Pea di Torino, un progetto che ha come karma la sostenibilità. Aperto nel dicembre 2020, non sembra vada benissimo. Ma non sarà che il nostro caro Oscar porta un po’ sfiga?

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