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‘Cravattari’, banche, Lapo Elkann e postdatati

2024-01-02T16:43:57+02:002 Gennaio 2024 - 16:43|Categorie: Editoriali del direttore|Tag: , |

Interessante l’indagine di Confcommercio sulla percezione dell’usura fra le imprese del terziario. Il 27,8% dei titolari ritiene che il fenomeno sia in aumento. Come pure crescono gli imprenditori preoccupati per il rischio di esposizione all’usura (25,2% con un balzo di quasi il 9% rispetto al marzo 2023). Un timore radicato molto di più al Sud (29%) e al Centro (28,5%). Che fare dunque? Il 61,4% ritiene che sia doveroso denunciare mentre il 21,6% non sa cosa fare.

“È un fenomeno criminale”, ha commentato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio. “Che si sviluppa soprattutto nei momenti di crisi economica, per le difficoltà di accesso al credito e mette a rischio la vita di un’impresa”. La sottolineatura di Sangalli evidenzia la radice del problema: le aziende che si rivolgono ai ‘cravattari’ hanno difficoltà ad accedere al credito regolare. Lo testimonia il 58% degli imprenditori intervistati che lamentano maggiori difficoltà di accesso al credito rispetto allo scorso anno.

Nel corso del 2023 infatti il 40,1% delle aziende ha chiesto un fido/finanziamento o lo ha rinegoziato. Di queste quasi la metà si è vista accogliere la domanda con un ammontare ben superiore a quello richiesto, con interessi talvolta a doppia cifra. Ad altri invece è stato negato. Ci troviamo di fronte dunque a una situazione paradossale. In un momento di difficoltà oggettiva, aziende che hanno sempre onorato gli impegni nel corso della loro storia si trovano di fronte a un muro di gomma.

Come sono lontani i tempi in cui il direttore di banca, sulla scorta delle informazioni di prima mano che possedeva, grazie alla conoscenza del territorio e delle persone, decideva in modo autonomo se concedere o meno il prestito. Sapeva che quell’imprenditore che conosceva da anni, si trovava in un particolare momento di difficoltà. Ecco allora l’aiuto dell’istituto di credito nel solco della tradizione che ha fatto nascere le banche: sostenere le imprese, il lavoro e l’occupazione.

Oggi non è più così. L’imprenditore si trova di fronte spesso a fighetti o fighette, in giacca e cravatta oppure outfit perfetti, che non hanno mai visto una fabbrica. Spesso laureati, anche al Cepu. Che non si sono mai svegliati alle cinque di mattina per accogliere il latte o la carne per la lavorazione. Che si sono ben guardati dal lavorare di sabato o di domenica. Che alle cinque della sera, come i toreri in Spagna, fanno cadere la penna o spengono il computer. Per iniziare una loro corrida in palestra o a fare shopping. Che dormono tranquillamente la notte, lasciando ad altri le preoccupazioni degli ordini che non arrivano, degli insoluti, dei dipendenti da pagare. E che quando l’imprenditore bussa alla loro porta per chiedere lumi sul fido non concesso o sull’interesse da usura o quasi, invocano l’algoritmo o l’accordo europeo Basilea 3.

“Non siamo noi a decidere”: è il ritornello che periodicamente risuona nella filiale. È vero: chi decide è un altro burocrate della sede centrale che non sa nulla dell’azienda e del contesto in cui vive. Domanda: ma che cazzo ci stanno a fare allora? Aggiungo un dato: sempre più si vuole evitare la ‘confidenzialità’ nel rapporto con i dipendenti delle banche. Salvo poi concedere prestiti milionari agli amici del quartierino. Prestiti ‘a mai più’, come testimoniano cronache recenti.

Sto parlando ad esempio di Lapo Elkann che ha trascinato in una voragine finanziaria la sua Italia Independent. Un’azienda di occhiali di lusso, che rimane in piedi grazie a un accordo transattivo di circa 24 milioni di euro. E chi gli ha ‘perdonato’ di più? Le banche naturalmente. In prima fila Unicredit, che ha perso fra capogruppo e società operativa 8,5 milioni di euro. Guaio anche per Banca Ifis che alla fine ha rinunciato a 4,8 milioni di euro di crediti vantati. Terzo posto in classifica per Bnl con 4,1 milioni di euro persi. Seguono poi Intesa San Paolo (2,8 milioni), Banco Bpm Spa (2,3 milioni) e Banca del Piemonte che ha dovuto cancellare 1,1 milioni di euro di crediti. Alleluia!

Ultimamente poi è emerso un altro problema. Come si sa, in alcune realtà, spesso al Sud, prima di scaricare la merce, si esige un titolo di credito. Chiamiamolo con il suo nome: postdatato. Un assegno che tutela chi vende la merce e lo pone al riparo dal ‘bonifico 90 giorni data fattura fine mese’ che non arriva mai. Fino a ieri la banca chiudeva un occhio e concedeva l’anticipo fattura senza problemi. Tanti i direttori che, nelle loro casseforti, tenevano i postdatati a tutela del credito. Oggi non è più così: la banca storce il naso quando in fattura viene specificato ‘pagamento in contrassegno’ e non concede l’anticipo. Una follia allo stato puro: così non si tutela l’imprenditore onesto e si lascia ampio spazio di manovra ai farabutti. Facile l’obiezione: ma il postdatato è fuorilegge. Bella scoperta! Vero, ma è l’unico strumento in grado di tutelare gli onesti. Che in mancanza di altro sono costretti a rivolgersi ai ‘cravattari’. E si ritorna a quanto scritto sopra. Avevano ragioni I Gufi. Il noto quartetto milanese, nel 1966, così cantava: “Io vado in banca, stipendio fisso, così mi piazzo. E non se ne parla più…”

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