Rossi (Clal): “I futures non sono uno strumento adatto alle nostre produzioni”

2017-09-19T16:01:44+02:0019 Settembre 2017 - 15:28|Categorie: Formaggi, Mercato|Tag: , , , , , , , |

Sermide (Mn) – Dopo le parole del commissario Ue all’Agricoltura Phil Hogan, che ne ha sollecitato l’introduzione nel settore alimentare, si infiamma il dibattito sui futures. Se per alcuni, come Hogan, sarebbero necessari per gestire volatilità e rischi del settore agricolo, per altri si tratta di uno strumento che mal si adatta alle produzioni tipiche di certi paesi, come l’Italia. Angelo Rossi (in foto), coordinatore di Clal.it, è stato fra i primi in Italia a sollecitare la discussione e l’approfondimento di questi strumenti finanziari nel settore caseario, con numerosi incontri e dibattiti sul tema, anche con ospiti internazionali. Proprio da profondo conoscitore dei futures e del settore agroalimentare italiano, Rossi lancia l’allarme riguardo al loro utilizzo. “Sono preoccupato dalle dichiarazioni del commissario Hogan. L’Italia, come molti altri Paesi Europei, non produce comomodity industriali, dove l’utilizzo dei futures può essere uno strumento, insieme ad altri, di gestione del rischio. Vanno rispettate le nostre produzioni, che sono fatte di territori, di biodiversità, di persone e di storie. I formaggi europei ed in special modo i formaggi italiani non sono prodotti industriali standardizzati. E nel mondo vengono tanto amati, come dimostrano i dati delle esportazioni nei primi sette mesi dell’anno (+7,3% a volume, +13,7% a valore), proprio per questa ragione. I futures sarebbero solo dannosi per lo sviluppo del settore, in Italia”. A questo proposito, Rossi fa l’esempio delle Cun, le commissioni uniche nazionali per il prezzo dei prodotti agricoli. “Se si guarda al caso delle Cun si capisce bene quanto conti ancora l’elemento umano, nel nostro Paese. E quanto sia doveroso rispettare l’uomo che produce. Queste commissioni hanno portato l’agricoltore e l’allevatore lontano dalle dinamiche del mercato e dal mondo dell’impresa, con risultati insoddisfacenti. Quando c’erano ancora i mercati agricoli, come a Mantova, Cremona e Pavia, gli operatori si ritrovavano, si scambiavano esperienze, costruivano e cementavano rapporti, approfondivano le loro conoscenze. Questa è l’Italia dei formaggi, non è un mercato per prodotti finanziari”.

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