Presidio Fiorucci (4): la voce dei lavoratori

2024-01-18T15:50:10+02:0018 Gennaio 2024 - 15:49|Categorie: in evidenza, Salumi|Tag: , , , , |

Roma – Nella mattinata di oggi abbiamo seguito il presidio dei lavoratori di Fiorucci davanti alla Regione Lazio. Nell’ora e mezzo in cui abbiamo atteso la conclusione dell’incontro tra le delegazioni sindacali e delle Rsu aziendali con l’assessore al Lavoro, abbiamo parlato con i dipendenti (di cui rispettiamo l’anonimato, alla luce della delicatissima procedura che vede a rischio il posto di duecento risorse, pari alla metà di quanti oggi impiega l’azienda di Pomezia).

Fiorucci è stata a lungo un’azienda a conduzione famigliare. Reclutava il personale sul territorio. Molti sono entrati da ragazzi in fabbrica. Venivano da studi di ogni tipo, e il capo reparto metteva loro il coltello in mano, sin dal primo giorno. Imparavano sul campo, e spesso le lavorazioni erano molto faticose. Parliamo di dipendenti che sono in azienda da oltre 35 anni. Qualcuno anche da 38. Prima di ogni tipo di meccanizzazione, magari si ritrovavano a disossare centinaia di prosciutti al giorno. Oggi parte di questo personale porta i segni di questo lavoro (ci hanno raccontato del dolore alle spalle, della sindrome del tunnel carpale, di quelle che sono vere e proprie malattie professionali), e non deve stupire che normalmente, sino all’apertura della procedura di licenziamento adesso in corso, in stabilimento venissero impiegate diverse decine (una quarantina di unità, ci è stato riferito) di lavoratori interinali, a supporto della produzione. Perché Fiorucci è un’azienda che non può consentirsi di scendere sotto un volume produttivo molto alto. “Parliamo sempre di tonnellate, mai di quintali”, ci è stato spiegato.

Oggi molti di questi lavoratori sono vicini alla conclusione del loro percorso professionale. Non ci sono per loro possibilità di ricollocarsi, per evidenti ragioni anagrafiche. Manca a loro una parte contributiva per poter andare in pensione. Fiorucci, a detta di tutti, è sempre stata ineccepibile tanto nel pagamento degli stipendi quanto nei contributi. Era un’azienda in cui tutti avevano la possibilità di parlare con la proprietà. Intere famiglie di Pomezia ci lavorano, perché a lungo è stato possibile segnalare un famigliare o un amico che voleva entrare in azienda. Ci sono coppie in cui magari lui lavorava in fabbrica e lei negli uffici. Padri e figli. Fratelli. Sino alla fine degli anni ’90 le premialità erano molto alte. “Era come entrare al ministero”, ci ha detto qualcuno. Poi, con i passaggi di proprietà, per difendere il posto i lavoratori hanno dovuto rinunciare a qualcosa. Qualche migliaio di euro l’anno che in tasca si sentono. Ma la retribuzione di base è rimasta buona.

Oggi i lavoratori attendono i loro rappresentanti nella speranza che l’azienda si decida ad aprire agli ammortizzatori sociali e a percorsi di accompagnamento alla pensione. Ma non si fanno troppe illusioni. Hanno registrato la rigidità della nuova proprietà nella fase di confronto con i sindacati. Sperano ora nell’intervento delle istituzioni. E in molti parlano apertamente della realtà di una produzione che ha mantenuto un ottimo livello in cotto, mortadella e salame, ma che a livello commerciale ha sempre faticato a conquistare il mercato del Nord, dovendosi così accontentare di quanto venduto nel Centro-Sud. La grande incognita riguarda non solo il loro posto di lavoro, ma lo stesso futuro di un’azienda che non può consentirsi stop di produzione, e che però nel piano industriale che le parti sociali hanno giudicato lacunoso parla di esternalizzare alcune produzioni e di dismissione di linee di prodotto. I lavoratori hanno realmente a cuore il domani di Fiorucci. E la proprietà?

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