Prezzi dei suini: allarme rosso

2022-03-11T14:16:15+02:0011 Marzo 2022 - 14:16|Categorie: Carni, in evidenza, Salumi|Tag: , , , , |

Il comparto è sotto pressione a causa degli aumenti dei costi energetici e della crisi russo-ucraina. Il maiale potrebbe tornare alle quotazioni di fine 2019. E i diversi anelli della filiera, ancora una volta, faticano a dialogare e fare sistema.

Giovedì 3 marzo, Commissione unica nazionale (Cun). Come ogni settimana, il settore attende le quotazioni che fissano il peso del suino vivo e dei tagli. La tensione è alta. Il maiale pesante è quotato circa 1,40 euro/kg nel circuito tutelato (quello delle Dop per intenderci) e sfiora l’1,20 euro/kg in quello non tutelato. Gli allevatori spingono per far salire questi valori, l’industria è scettica, qualcuno si aspetta addirittura un calo. Risultato: prezzo non formulato. All’estero, invece, gli allevatori stanno alzando i prezzi. È difficile confrontare mercati diversi, ma per fare qualche esempio la Spagna ha quotato il maiale vivo a 1,23 euro/kg (+5% sulla scorsa settimana, dato Marcolleida del 3 marzo), la Germania quota un suino da macello classe S a 1,39 euro/kg (+4,4% sulla settimana precedente, è il dato Ismea della quarta settimana di febbraio), in Olanda il vivo è quotato 1,15 euro/Kg al netto dell’Iva (Dca Beurs 2.0 del 4 marzo), con un rialzo del 15%.

Dal punto di vista degli industriali, il rischio è che venga a mancare la valvola di sfogo che consentiva di continuare a comprare a un prezzo relativamente basso in Italia. Relativamente, perché alcuni tagli, nonostante il prezzo del suino sia praticamente lo stesso dell’anno scorso, sono alti: la coscia fresca per i prosciutti Dop è a 5,12 euro/kg (contro i 3,96 di un anno fa), la coscia per prosciutto nazionale che supera i 12 kg è a 4,31 euro (contro 3,32), la coppa rifilata a 4,35 euro/kg (contro 3,82). Un conto approssimativo suggeritomi da un importante direttore commerciale del settore recita che per un maiale Dop sulle due cosce (circa 30 kg) e sulle due coppe (circa 7 kg) i macelli starebbero ricavando quasi circa 35 euro in più a maiale dall’applicazione del bollettino, sempre che il bollettino venisse applicato nella realtà. Perché poi le cessioni di tagli a prezzi più bassi di quelli dichiarati si verificano non di rado. Il che porta a chiedersi che senso abbia organizzare ancora in questo modo la quotazione del maiale. Ma a parte questo, ora il rialzo del suino estero rischia di mettere fine al periodo in cui gran parte dell’industria, nel far fronte agli aumenti dei costi energetici, poteva almeno contare su una materia prima relativamente a buon mercato.

Il punto di vista degli allevatori è tranchant: oggi per loro i costi di produzione in alcuni casi toccano anche 1,90 euro/kg, con l’incognita dei mangimi che iniziano a risentire in maniera pesante della guerra in Ucraina e del blocco ungherese all’export di cereali. Per loro, il prezzo del maiale dovrebbe salire ancora e il compito dell’industria è quello di riuscire a valorizzare il maiale italiano per quello che vale. Cioè tanto. Anche dai macelli i messaggi non sono distensivi. Per loro il ‘non quotato’ del 3 marzo significa un piccolo stop prima dell’aumento, il che effettivamente c’è stato perché i prezzi di ieri (10 marzo) sono di 1,45/1,50 euro per il tutelato e di 1,21/1,26 euro per il non tutelato (anche la mancata indicazione di un prezzo unico è indice della forte tensione che esiste tra i singoli attori della filiera). L’obiettivo del mondo allevatoriale è quello di arrivare a una media annua di 1,80 euro/kg, più o meno la quotazione che aveva fatto scattare l’allarme a fine 2019 durante il boom della domanda cinese dovuta alla peste suina. I macelli negano anche l’aumento indiscriminato sui tagli. Un direttore commerciale del settore ci confida: “E’ vero che la coscia è venduta a un prezzo alto, e meno male. Ma il pancettone, per esempio, è crollato (1,38 euro contro 2,12) e così la pancetta rifilata (2,71 euro contro 3,86). E il busto intero, che comprende anche le coppe, è quotato a 3,15 euro, ma viene regolarmente ceduto al di sotto dei 2 euro al chilo”. Il vero punto critico è che d’ora in poi ci sarà meno merce disponibile, sia all’estero che in Italia. Ed è probabile che si torni alle quotazioni di fine 2019. In queste condizioni, il dialogo tra le parti è molto difficile.

Non dimentichiamo poi che è l’industria che deve mettere in mano il prodotto, con un prezzo adeguato per tutta la filiera, a chi fa davvero il mercato: la distribuzione. Che è sicuramente più potente dal punto di vista commerciale, e questo si traduce nelle note difficoltà ad aumentare i listini. E le cui politiche ultimamente, anche dal punto di vista della comunicazione, non vanno certo nella direzione di un rialzo dei prezzi.

Con un consumatore che deve fare i conti con l’incertezza economica, l’aumento dei costi energetici e un potere d’acquisto mediamente in calo. Come se ne esce? Teoricamente, questi sono i momenti in cui la filiera dovrebbe compattarsi e ragionare armonicamente. Ma nel settore questo non accade quasi mai.

 

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