Diretta Cibus 2024 / Salumeria italiana: quali sfide per il futuro?

2024-05-07T09:40:23+02:007 Maggio 2024 - 10:00|Categorie: in evidenza, Mercato|Tag: , , , , |

Il settore sarà al centro di un grande convegno in scena a Cibus il 9 maggio. Ne parliamo con Francesco Pizzagalli e Davide Calderone, rispettivamente presidente e direttore di Assica.

Di Tommaso Tempesti

Dalla crisi del Canale di Suez alla guerra in Ucraina, fino alle difficoltà per le esportazioni legate al diffondersi della Peste suina africana. Non mancano le sfide per la salumeria italiana, che si trova costretta ad affrontare una serie di problematiche di livello globale che inevitabilmente si ripercuotono sull’economia del nostro Paese. Ne abbiamo parlato con Francesco Pizzagalli e Davide Calderone, rispettivamente presidente e direttore di Assica (Associazione industriali delle carni e dei salumi), che, nell’ambito di Confindustria, rappresenta le Imprese di produzione dei salumi (sia di carne suina sia di carne bovina), di macellazione suina e di trasformazione di altri prodotti a base di carne. Qualche anticipazione sulla conferenza che si terrà il 9 maggio a Cibus 2024, dal titolo ‘Salumeria italiana: le sfide per il futuro, tra le incertezze del commercio internazionale e l’aumento dei costi produttivi’.

A Cibus terrete una conferenza in cui si parla di ‘incertezze del commercio internazionale’: a cosa fate riferimento nello specifico?

Francesco Pizzagalli (FP) – Sul piano internazionale, negli ultimi anni, si sono verificate diverse problematiche, anche di carattere politico, che hanno finito per condizionare la nostra economia e le dinamiche interne delle aziende. Si pensi alla questione del Canale di Suez, per menzionare il caso più recente: una faccenda che investe tutto l’ambito dei trasporti e della logistica, e che per questo finisce per incidere anche sul comparto agroalimentare. Ma si pensi anche alla guerra in Ucraina: dopo il suo scoppio, la nostra filiera ha dovuto affrontare il problema dei mangimi per gli animali, ritrovandosi all’improvviso a dover sostenere dei costi spropositati per la materia prima. Viceversa, ci possono essere anche problematiche interne al nostro Paese che finiscono per impattare sulle nostre esportazioni. È il caso della Peste suina africana (Psa), che si sta diffondendo in casa nostra e che ci sta chiudendo una serie di mercati – soprattutto quelli asiatici – che presentavano grandi opportunità di sviluppo per il settore della carne e dei salumi. Paesi come Giappone, Corea, Cina e Taiwan hanno chiuso le porte alle importazioni dall’Italia. Noi ci stiamo dando da fare perché almeno alcuni prodotti, a determinate condizioni, possano essere esportati in quei territori, ma si tratta di un compito estremamente difficile.

Davide Calderone (DC) – Aggiungerei a quanto ha accennato il presidente un’ulteriore questione: quella del libero commercio internazionale. Ci troviamo, infatti, in una fase storica in cui emergono tendenze protezionistiche in vari Paesi, che comportano delle difficoltà per le imprese italiane che intendono esportare. Vedremo, a breve, come andranno le elezioni negli Stati Uniti: è chiaro che una spinta in direzione di un maggiore protezionismo cambierebbe di molto le possibilità che hanno le nostre aziende rispetto agli Usa. L’introduzione di dazi e imposizioni tariffarie non farebbe altro che complicare una situazione già complessa per i nostri prodotti.

Qual è la principale difficoltà per accedere a un mercato straniero?

DC – Un problema ricorrente sono le barriere sanitarie: i prodotti a base di carne sono soggetti a numerose regole per poter accedere ad altri Paesi. Queste, inoltre, vengono spesso utilizzate come strumenti di protezionismo nelle dinamiche degli scambi commerciali.

A proposito di esportazioni, come stanno andando i salumi?

DC – Tra gennaio e novembre 2023, i salumi italiani hanno visto le esportazioni crescere toccando quota 190.880 tonnellate, per un fatturato di 1.976,4 milioni di euro: +7% in quantità e +9,5% in valore. Il trend positivo è continuato anche a inizio 2024, soprattutto grazie a Stati Uniti e Canada, che hanno compensato la chiusura dei Paesi asiatici. Bisogna però mantenere una grande attenzione. La diffusione della Psa, che non mostra segnali di arresto, potrebbe finire per incrinare anche le relazioni con queste nazioni. C’è poi da dire che, anche se il fatturato e i volumi all’estero mostrano un segno positivo, rimane il problema dei costi delle aziende, che hanno portato a un rialzo dei prezzi dei prodotti. Alcuni mercati sono risultati più ricettivi di altri nell’accettare questi aumenti. I volumi non devono però trarre in inganno, perché la marginalità è comunque ridotta.

Per quanto riguarda la Peste suina, come valutate l’operato delle istituzioni?

FP – Il problema vero sono le tempistiche. La questione della Psa è nota da almeno due anni, ma abbiamo attraversato un periodo troppo lungo senza intervenire in modo adeguato. Questo ritardo nel comprendere l’impatto della Peste suina sul settore è stato uno dei fattori principali che ci ha portato alla situazione attuale. Il virus, tra l’altro, aveva già colpito altri Paesi in Europa, in particolar modo la Germania, che però è stata molto più determinata nell’affrontarlo. Abbiamo già perso troppo tempo. Non possiamo permetterci il lusso di sprecarne altro. Per affrontare il dilagare della malattia, lo strumento più adeguato rimangono le recinzioni per contenere i selvatici. Gli allevamenti devono recintare le aree di pertinenza: senza barriere adeguate non è possibile contenere la diffusione della Peste suina. È necessario, per questo, un intervento più deciso da parte delle autorità governative, ma anche un maggior coordinamento con le realtà dei territori colpiti dalla Psa. Il problema è molto grave: basti pensare che Lombardia ed Emilia-Romagna sono le due Regioni in cui si produce la maggior parte della materia prima che poi va alle aziende di trasformazione.

DC – Per quanto riguarda gli allevamenti, nei casi in cui si sia verificata la presenza della Psa tra gli animali, a nostro avviso la situazione è stata gestita in modo corretto dalle autorità sanitarie. Purtroppo, però, è risultato fallimentare l’approccio portato avanti fino ad ora per quanto riguarda l’animale selvatico: i casi aumentano e le zone colpite si allargano.

Nella situazione che avete delineato, come si sta muovendo Assica?

FP – Abbiamo progetti di natura diversa che stiamo portando avanti. Anzitutto, siamo in costante rapporto con le autorità di governo, a livello regionale, nazionale ed europeo. Ci stiamo muovendo su tutti i fronti possibili, facendo presenti le nostre situazioni e offrendo la nostra competenza e la nostra collaborazione a tutti i livelli. Inoltre, stiamo fornendo un aiuto concreto alle singole aziende per quanto riguarda le varie tematiche che abbiamo discusso finora. Per esempio, ci siamo dati molto da fare per trovare degli accordi con quei Paesi in cui le esportazioni erano state completamente bloccate, per far sì che si riuscisse ad esportare almeno alcuni prodotti che danno determinate garanzie di sicurezza, anche dal punto di vista sanitario. Si pensi, ad esempio, alla trattativa con il Giappone per la riapertura almeno dei prodotti cotti, che ha permesso fino ad ora a cinque aziende visitate da ispettori giapponesi di riprendere i commerci con quel Paese.

DC – Il settore della carne suina sta affrontando ancora un momento di aumento dei costi della materia prima. Per l’export, come dicevamo, i volumi tengono ma le marginalità no. Bisogna quindi capire – e ne parleremo durante il convegno a Cibus – come affrontare la questione della distribuzione del valore lungo la filiera. È importante che tutti gli anelli della catena collaborino affinché tutti possano avere dei guadagni. Non intendo accusare nessuno, ma bisogna che ciascuno si assuma le proprie responsabilità e faccia il possibile. Non è concepibile vendere dei prodotti a determinati prezzi, quando i costi per la produzione sono superiori. Il punto è trovare il giusto equilibrio per il valore all’interno di tutte le componenti della filiera. Non possiamo tollerare che qualcuno stia bene a discapito di altri.

Tornando alla questione del Giappone: credete che il dilagare della Psa possa rimettere in discussione l’apertura che c’è stata?

DC – Non credo. L’apertura riguarda i prodotti cotti: c’è la garanzia che il processo di produzione inattivi il virus. Le verifiche sono state fatte dagli ispettori giapponesi stessi. Siamo convinti che su questa linea non si torni indietro. Quello che stiamo cercando di fare, ora, è ampliare il numero delle aziende autorizzate e anche di estendere questa apertura ad altri prodotti che recano in sé una certa garanzia di sicurezza. Come i prosciutti crudi stagionati più di 400 giorni: una garanzia di sicurezza già riconosciuta a livello internazionale da numerosi Paesi, ma non ancora dal Giappone.

Si è recentemente chiuso il progetto ‘Trust Your Taste’, per la promozione della carne suina e dei salumi. È previsto un rilancio?

FP – Il rilancio è in programma e prevede una continuità con quanto sviluppato negli anni precedenti. L’obiettivo rimane il medesimo: avere strumenti per diffondere al meglio la conoscenza dei nostri prodotti. Un progetto come questo ci può aiutare molto perché il prodotto da solo, ormai, non è in grado di convincere il consumatore ad acquistarlo. Occorre che tutto il sistema di filiera sia sostenibile, da un punto di vista economico ma anche ambientale e sociale. E bisogna che tutto questo sia comunicato. Le tematiche Esg non sono più un accessorio, ma un elemento fondamentale per fare presa su certi mercati. ‘Trust Your Taste’ ha permesso di raccontare cosa c’è dietro un prodotto, in termini di filiera e anche di sostenibilità ambientale e sociale. Abbiamo organizzato diversi seminari anche con gli operatori per permettere a loro stessi di raccontare ai clienti queste cose. In un momento come questo, in cui la carne viene attaccata da tutte le parti, abbiamo bisogno di affermare i nostri principi.

Quali prodotti hanno incontrato maggiori difficoltà nel 2023?

DC – I prodotti a maggior valore aggiunto sono sicuramente quelli che sono stati maggiormente penalizzati dall’inflazione. Quando la battuta di cassa è molto alta, i prodotti più cari come prosciutto crudo e bresaola soffrono di più.

Quali sono le tendenze più promettenti per il prossimo futuro?

DC – Parlando di salumi, esistono dei prodotti che portano con sé una storia e una cultura che li rendono uno zoccolo duro sul mercato. In Italia disponiamo di numerose Dop e Igp: sono quelle che stanno in prima fila, e fanno da apripista anche per le altre referenze. Ma, più in generale, ci sono tutti quei prodotti che vantano un forte legame con la tradizione e il territorio che esercitano una forte attrattiva sul consumatore straniero. È su questi che si deve insistere.

 

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